I primi giorni al volante non si dimenticano. Il motore che si spegne in salita, il piede che trema sulla frizione, il cuore che accelera più del motore. Dietro di te, i clacson iniziano a suonare, qualcuno urla, altri ti sorpassano con rabbia. Ti senti piccolo, fuori posto. E tutto quello che hai imparato a scuola guida sembra svanito nel nulla. In tre settimane da neopatentata, quante volte sono rimasta bloccata in una salita, sommersa da insulti e pressioni? Più di quanto si possa immaginare. Lo stress accumulato batte qualsiasi esame universitario.
Ma il problema, a Catania, non è solo imparare a guidare. Il problema è sopravvivere alla guida. Le strade non perdonano: sono strette, dissestate, prive di logica. Gli stop sono decorazioni, le precedenze illusioni. I motorini ti sfiorano da ogni lato, spesso su una ruota sola. Le auto si muovono come in una corsa clandestina. E tu, in mezzo, provi solo a non crollare.
Guido da un mese e ho già visto la mia vita – e quella degli altri – sfiorare il limite più volte. Vivo poco fuori città, e ogni giorno devo affrontare una rotatoria che sembra progettata per metterti alla prova. Tra camion che non rallentano e motorini che tagliano da ogni parte, l’idea di avere la precedenza è un concetto teorico. Nei primi giorni restavo ferma, paralizzata, mentre gli altri suonavano, urlavano, mi superavano con frasi sarcastiche: “Ao, ma che fa, stiamo aspettando la carrozza del Senato?”
E così impari ad adattarti. A essere più veloce, più dura, più aggressiva. Ma è una trappola. Perché quando provi a guidare come loro, diventi parte del pericolo. Solo che ancora non sai maneggiare bene il cambio, ancora sbagli le marce, ancora prendi una curva troppo stretta e ti rendi conto che poteva andare molto peggio.
I numeri raccontano ciò che ogni guidatore giovane sente sulla pelle. Nel 2023, Catania ha registrato 2942 incidenti stradali, con 62 vittime. È la città siciliana con più sinistri, e la terza in Italia per numero di morti. Non è solo un dato: è una ferita collettiva. Ogni incrocio, ogni curva, ogni muro porta la memoria di qualcuno. Foto, fiori, nomi, sorrisi congelati in un tempo che non torna più.
E allora la paura cambia forma. Non è più solo quella di sbagliare. È la paura di non tornare. Di ricevere una telefonata che nessuno dovrebbe ricevere. Qualche anno fa, un ragazzo che conoscevo è morto cadendo dal motorino, tradito dalla velocità. Da allora, ogni volta che mio fratello esce, ogni volta che lo vedo salire su quel mezzo, la mia mente corre veloce verso pensieri che provo a ignorare.
Perché non è giusto vivere così. Con il terrore addosso, con le mani strette al volante come fosse un’ancora di salvezza. A scuola guida ci parlano di regole, di precedenze, di rispetto. Ma basta un giro in città per capire che là fuori le regole non contano più. Contano solo i nervi saldi, l’istinto, la fortuna.
Eppure non dovrebbe essere questa la normalità. Non dovrebbe esserlo per nessuno, tantomeno per chi sta ancora imparando. Non servono solo più controlli, servono più coscienza e più senso civico. Bisogna ricordarsi che dentro una macchina c’è una persona; un figlio, un fratello o un amico e che ogni vita persa in strada è un urlo che nessuno riesce più a spegnere.