Magnifico Lettore,
Eccoci al quinto numero. Mesi di incontri, preparazione, confronti, discussioni. Questo è stato InChiostro finora: un laboratorio di idee e parole che ci ha uniti nella volontà di raccontare una parte del mondo giovanile e, con esso, un pezzo della nostra città. Una Catania piena di contraddizioni, di bellezze che coesistono con ferite aperte, di energie vitali che troppo spesso faticano a fare rete, a costruire un tessuto davvero condiviso.
Fin dall’inizio, abbiamo cercato di tenere vivo uno sguardo attento e curioso sulle strade, sulle persone, sulle dinamiche che attraversano questa città. Non ci siamo accontentati di restare chiusi dentro le aule universitarie. Al contrario, abbiamo provato ad aprirci all’esterno, a cercare un dialogo vero con la realtà sociale che ci circonda. Le disuguaglianze, le marginalità, le tensioni quotidiane che attraversano Catania, la Sicilia, e il nostro Paese sono diventate il nostro campo di osservazione e di impegno.
Per molti di noi, questo percorso è stato un viaggio. Un viaggio collettivo, fatto di scoperta e di consapevolezza. Abbiamo capito – o forse solo intuito – che, nonostante tutto, questa città ha dentro di sé energie sorprendenti. Persone, storie, esperienze che resistono, che provano a costruire alternative, che cercano – spesso tra mille difficoltà – di immaginare un futuro diverso. Ed è forse qui che InChiostro trova il suo senso più profondo: nel tentativo di connettere mondi diversi, di creare spazi di parola e di ascolto, di far circolare idee, visioni, progetti.
Non sappiamo quanto ci siamo riusciti. Forse solo in parte. Ma una cosa è certa: ne è valsa la pena.
Anche in questo numero abbiamo scelto di dare voce a temi diversi, spinti dal desiderio di osservare la realtà con occhi lucidi, di mettere in luce ciò che spesso resta invisibile, di restituire dignità a frammenti di vissuto che altrimenti rischierebbero di perdersi nel rumore di fondo.
Viviamo in un’epoca in cui si dice che le grandi narrazioni unitarie siano tramontate per sempre, sepolte nella polvere del passato. Forse è vero. Ma anche se siamo condannati a muoverci tra frammenti, a ricomporre brandelli di senso in un mondo frammentato, non ci arrendiamo.
Non ci arrendiamo di fronte a un presente che spesso ci inorridisce: il genocidio a Gaza, lo sterminio di bambini e civili inermi in Palestina, le atrocità in Ucraina, i conflitti dimenticati in Siria e altrove. Non possiamo fermare queste guerre. Ma possiamo scegliere come rispondere, qui e ora. Possiamo coltivare un impegno concreto, locale, umano. Possiamo costruire relazioni più giuste, prenderci cura degli ultimi, generare nuovi legami, dare un senso alla parola comunità.
È questo, forse, il nostro modo di resistere. E di continuare a credere, nonostante tutto, in un futuro diverso.