Abbiamo avuto il piacere di intervistare Salvo Castro, del comitato popolare Antico Corso, che da più di 20 anni costruisce sapere e partecipazione e a cui dobbiamo il recupero e la gestione del “Bastione degli Infetti”.
Quando nacque il comitato e perché?
Noi siamo nati grazie alla vicenda della Purità 25 anni fa, in concomitanza dell’attacco che hanno fatto a quest’area archeologica. Erano in atto demolizioni massive della domus romana. Avevano già scavato in profondità portando in discarica tutto ciò che c’era. Siamo riusciti a fermarli grazie a una denuncia alla Procura della Repubblica. Due anni fa hanno provato a intervenire di nuovo, di nuovo senza interloquire che noi, che ci siamo costituiti legalmente 20 anni fa. Per nostra fortuna quest’area è diventata parco archeologico, per cui la sovrintendenza non poteva rilasciare autorizzazioni.
Qual è il rapporto dell’Università con il quartiere? Noi abbiamo scritto che “troppo spesso è un exclave in un territorio che non conosce e con cui non comunica” Giarrizzo pensava che si sarebbe integrata col territorio…
I fatti la pensano diversamente; l’idea che una struttura pubblica come l’università inserita in un territorio di per sé generi un processo di avanzamento sociale o di miglioramento economico è tutta da dimostrare. Fare solo il bell’edificio per riqualificare il quartiere non funziona. Non funziona perché non parte da una progettazione condivisa.
È di tutta evidenza: l’università è in piazza Dante da più di 30 anni, ma dopo le lezioni è solo un portone che si chiude con dei vigilanti dentro. Una comunicazione vera con il quartiere è lontana.
In questo senso il caso del centro Experia, sgomberato con la forza nel 2009 per creare un’aula universitaria, per molti è emblematico
Il centro svolgeva un ruolo molto importante, raccoglieva ragazzi nel quartiere, comprimeva moltissimo la presenza di spacciatori. Voglio dire che anche esponenti dichiaratamente di destra (il centro era di ispirazione comunista n.d.r.) hanno riconosciuto la funzione sociale del centro Experia. Oggi gli spacciatori spadroneggiano nel quartiere.
Inoltre devono ancora convincermi che quell’aula fosse indispensabile, quante lezioni vengono fatte alla settimana, che non potevano essere fatte altrove? Per non parlare della chiesa Purità, dove praticamente si fanno soltanto le sessioni di Laurea…
Cosa sta avvenendo negli ultimi anni? Aumento del fitto, ospedali chiusi, come vedete il futuro del quartiere?
Il quartiere è difficile da cambiare. C’è una mancanza di progettazione: assoluta incapacità di progettare lo sviluppo della tua stessa comunità. Noi cerchiamo di far sì che la città venga qui a conoscere il quartiere. Ma sono molti i problemi: oggi la turistificazione ha stravolto non solo questa area ma tutta Catania. Chi ha un’abitazione la fa diventare B&B. La popolazione sta scemando, tra chiusura degli ospedali ed emigrazione.
Quali sono le problematiche legate al disagio giovanile tra gli abitanti dell’Antico Corso?
C’è l’evasione scolastica: la tastiamo perché rispetto alla popolazione gli iscritti alla scuola media sono bassi. Noi abbiamo un doposcuola, nel cuore di una zona disagiata del quartiere, la Petriera. In questo incontriamo serie difficoltà perché molti dei bambini si portano dietro problemi che non risolvi col doposcuola. Dovresti lavorare non sui bambini ma sui genitori. Livellare le disuguaglianze: per gli adulti vi sono seri problemi dell’abitare, così come del lavoro, e molti di loro hanno procedimenti giudiziari. Così il riscatto diventa molto difficile. È inutile dire ai bambini “questo non si fa”, quando l’esempio dei genitori è esattamente il contrario. In questo senso non c’è un intervento serio: è necessario rispondere al problema dell’abitare e della occupabilità.
Il vostro è un tentativo di diffondere la cultura della legalità?
Noi non portiamo valori di legalità, noi portiamo l’opportunità per qualcuno di agganciarsi a un processo di crescita, per necessità lento. Non possiamo dire di stare portando legalità, se le istituzioni non danno l’esempio.
Manca soprattutto la possibilità di agire in profondità. Molte associazioni che interagiscono direttamente col territorio non hanno gli strumenti economici e politici per avviare un cambiamento strutturale, che è quello che serve a Catania.