Abbiamo avuto l’onore di intervistare Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”, tra i massimi esperti di mafia in Italia, autore di alcuni volumi fondamentali per la compresione del fenomeno mafioso: “La mafia come soggetto politico” o “Storia del movimento antimafia”, ma anche il recente libro “Mafia&Droga”. Invitiamo i lettori interessati a consultare il preziosissimo materiale (interviste, articoli, saggi) disponibile sul sito web del Centro Impastato.
Da molto tempo sembra che il dibattito pubblico abbia accantonato il problema delle mafie come “risolto”: si dice che sono o moribonde o non sono più quelle di prima; Salvatore Lupo scriveva «La mafia non ha vinto». Sui giornali, nella migliore delle ipotesi si parla solo di “mafia in quanto tale”, violenza avulsa dal contesto di relazioni che essa intrattiene coll’economia e la politica, nella peggiore si parla di criminalità ormai nemmeno tanto organizzata. Lei cosa dice?
L’attenzione per la mafia, per Cosa nostra, è stata sempre legata ai grandi delitti, a eventi come il maxiprocesso, la cattura dei latitanti più noti: prima Riina, poi Provenzano, l’anno scorso Matteo Messina Denaro. Ultimamente hanno destato una certa attenzione i processi per la trattativa e si è aperta, per qualche giorno, la discussione sul delitto Mattarella: solo mafia o altri responsabili esterni, a vario titolo: come esecutori o come mandanti? Domanda che si è posta, senza arrivare a una risposta condivisa, per i grandi delitti e le stragi. Come ricordate, il confronto-scontro sul tema: «la mafia ha vinto o ha perso?» ha segnato il percorso dell’antimafia negli anni scorsi e si ripropone ancora oggi. Il dibattito pubblico riproduce, o induce e rafforza, l’opinione secondo cui se la mafia non spara non c’è, se non compie grandi delitti è solo un problema locale. E direi che gli stereotipi circolanti, più o meno esplicitati, ricalcano una vecchia contrapposizione: anche se ha ricevuto dei colpi durissimi, la mafia-Cosa nostra è sempre più forte di prima, non uccide perché non ne ha bisogno; oppure: ormai è a fine corsa e non merita attenzione. Invece la mafia c’è, agisce a livello del dark web, ma rimane ancorata al territorio, in una convivenza tra storiche identità e aggiornamenti appaltati a tecnici che sanno come orientarsi nelle pieghe della digitalizzazione. E dire che ormai la mafia ha deposto le armi, ha archiviato la violenza e scelto la corruzione, una sorta di mutazione antropologica, vuol dire ignorare che, come tutti i fenomeni di durata, persistenti nel tempo, la mafia coniuga continuità e trasformazione. La violenza non è necessario che sia attuata, può essere eventuale e potenziale.
Mafia e politica: cosa ci dice di Catania l’arresto per voto di scambio mafioso dell’ex presidente d’Aula del consiglio comunale Giuseppe Castiglione? [eletto con l’Mpa a deputato dell’Ars ed in seguito componente della Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia dell’Ars]
Il rapporto mafia-politica nella mia analisi è costitutivo del fenomeno mafioso, soprattutto per la mafia siciliana, ma con l’implosione dell’Unione sovietica e l’archiviazione del Partito comunista, che in Italia era il più forte del mondo non al potere, l’azione della mafia, nelle forme della violenza stragista o personalizzata, aveva un ruolo essenziale per la perpetuazione del potere costituito e la repressione nei confronti di soggetti che operavano in una prospettiva di rinnovamento. Nel mezzo secolo di potere democristiano, con il Pci all’opposizione, e negli ultimi anni, con il tentativo di coinvolgerlo nell’area governativa, si è ricorso alla violenza personalizzata, come nel caso di Mattarella, che riportava sul piano regionale la strategia di Aldo Moro. Le Brigate rosse, uccidendolo, pensavano di avviare un percorso verso il comunismo e invece hanno fatto un regalo al più vieto anticomunismo. Successivamente, con la fine dei partiti storici, il vuoto è stato colmato da Berlusconi e i suoi rapporti con la mafia sono documentati in varie forme: con l’uso di capitali mafiosi, con il pagamento del pizzo, con il capomafia Vittorio Mangano in casa, mentre rimane ipotetico, e non dimostrato a livello giudiziario, il suo ruolo nelle stragi.
Oggi i rapporti sono indirizzati in varie direzioni e lo scambio politico-mafioso ha, o può avere, vari interlocutori. Castiglione è uno di essi, ma ci sono o possono esserci altri personaggi che più che essere “cercati” dai mafiosi, sono loro che li cercano, considerandoli ancora portatori di voti. Siamo sul piano della politica di basso profilo, non è più il “grande gioco”. Ci sono interessi legati alla spartizione dei fondi europei, c’è il problema del riciclaggio dei proventi di attività illecite, la ripresa del ruolo nel traffico di droghe, e il rapporto con politici e amministratori è necessario o conveniente; ci sono le politiche dell’attuale governo, con l’attacco alla magistratura e il rifiuto di ogni forma di controllo, e tutto questo favorisce la mafia, le mafie; ma più che il condizionamento mafioso, il problema è la morfologia del potere attuale. O nella forma della ricchezza che è essa stessa potere (Trump e Musk) o nel potere acquisito tramite il voto (ma a votare va la metà degli elettori, perché non sentono di far parte di una comunità e non hanno punti di riferimento) che viene considerato una cambiale in bianco, una investitura da parte del “popolo”, che scalza tutte le forme di controllo. Siamo di fronte a una crisi della democrazia rappresentativa, che si inserisce in un contesto di crisi di civiltà. L’ordine mondiale, disegnato da Yalta, è stato travolto dal ritorno allo scontro nelle forme di guerra guerreggiata, o imminente, per la conquista dell’egemonia. L’umanità è divisa in due: una piccola minoranza che decide tutto e una stragrande maggioranza di emarginati, non-persone. E questo è il nazifascismo del terzo millennio. Le immagini che arrivano dagli Stati Uniti, con gli immigrati-deportati in catene e i prigionieri denudati che gremiscono le carceri come bestiame umano; o quelle che arrivano da Israele nel corso di un vero e proprio genocidio, in reazione a un 7 ottobre che non doveva esserci (la reazione di Israele era prevedibile e il genocidio ha radici bibliche) hanno questa misura, di barbara disumanità, che prevale sul ruolo delle mafie. Il 21 marzo ricordiamo giustamente il migliaio di vittime innocenti delle mafie dalla fine dell’Ottocento a oggi, ma in una guerra come quelle in corso, centinaia di morti, tra cui moltissimi bambini e civili, fanno parte del bollettino quotidiano.
Forse è una nostra impressione, ma a Catania anche oggi si parla poco di mafia; dal quotidiano cittadino sappiamo praticamente tutto dell’associazione mafiosa di San Pietro Clarenza (9000 ab.) poco di quella del capoluogo: nel dicembre 2023 scoprivamo che il presidente di Confindustria aveva pagato per 20 anni il pizzo. Poi uno strano silenzio: in una città normale non se ne sarebbe dovuto parlare ogni giorno? Nella “Relazione annuale 2023” della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del Ministero dell’Interno si afferma che la situazione nell’est della Sicilia è più disordinata e caotica del resto dell’isola: «… sono stati registrati alcuni episodi di conflittualità tra diversi gruppi criminali della provincia jonica dovuti a un’esasperata competitività per il controllo del narcotraffico locale». In una relazione della Commissione Antimafia si registra la presenza di dieci clan mafiosi che convivono in una pax mafiosa fondata sullo spaccio di droga. Può aiutarci a capire qualcosa?
A Catania, oltre alle famiglie di Cosa nostra, gli eterni Santapaola-Ercolano, ci sono altri gruppi classificabili di tipo mafioso e il narcotraffico fa gola a tutti. Dovreste analizzare la situazione, attraverso atti giudiziari, rassegne stampa. Ma è soprattutto all’interno dell’Università che bisognerebbe organizzare progetti di ricerca, articolati con tesi di laurea e di dottorato. Qualcosa di simile a quello che si fa alla Statale di Milano, dove si formano nuove leve di ricercatori. Questo significa schierasi nettamente contro le politiche governative che tolgono fondi alla ricerca per riversarli nelle spese per armamenti.