La «restanza» e il diritto di non partire, l’impegno a restare.
Noi giovani siciliani lo sentiamo da sempre, da parte di genitori, parenti, professori e lo ripetono i media. Per vivere meglio bisogna emigrare. Vuoi lavorare? Parti. Vuoi un futuro migliore? Parti. Il restare non è un’opzione valida. Perché percepiamo che la nostra terra è un luogo in continuo decadimento. «Irredimibile», per riusare la definizione di Sciascia. I dati ci sono: nella classifica stilata dal Sole 24 Ore sulla qualità della vita, dalla 83° posizione il sud domina la classifica in negativo.
Partire è troppo vantaggioso perché si scelga di restare. E diviene quasi necessario per poter vivere una vita migliore. Guardando i dati si ha l’impressione che sia in atto una diaspora di siciliani: vediamo che il capitolo dell’emigrazione non si è mai chiuso, che la questione meridionale è un problema aperto. Tra il 2012 e il 2023, la Sicilia ha perso 247.930 residenti, dato quantificabile alla perdita di un’intera città come Messina. Dal 2003 al 2023, le aree rurali hanno perso il 32% dei giovani compresi tra i 18 e i 34 anni. Al giorno d’oggi, i giovani siciliani tra i 18 e i 34 anni sono in tutto 901.652 (il 18% della popolazione totale; percentuale più bassa rispetto al 2002, anno in cui si aggirava attorno al 24%). Tra i giovani di questa fascia, il 68% vive ancora con la propria famiglia, con tassi di disoccupazione giovanile al 28.7% e con stipendi medi inadatti per vivere da soli, decretando anche un avanzamento all’età del primo matrimonio e del primo figlio, quindi di nuovi cittadini. I luoghi che abitiamo sembrano luoghi che “non contano”, sono luoghi dell’abbandono ai quali cittadini e istituzioni non credono più.
Ma sarebbe un errore credere che la nostra terra sia del tutto incapace di produrre energie trasformative, iniziative e sforzi dal basso per provare a cambiare la direzione delle cose. Un eroe della storia si chiama Giuseppe Gatì, giovane campobellese nella provincia di Agrigento. Ammirevole — per molti — la sua scelta di diventare pastore, di non abbandonare la sua terra e di impegnarsi attivamente per valorizzarla. Anche con l’impegno politico, talvolta persino con atti di protesta (si pensi a quando, nel 2008, contestò di persona l’allora deputato Vittorio Sgarbi per via di alcune sue affermazioni contro il giudice antimafia Giancarlo Caselli). Morirà a 22 anni, vittima di un incidente sul lavoro. Il suo operato, anche se breve, ha dato l’esempio che un’azione attiva per la propria terra è possibile. Un esempio di «restanza». Vito Teti la definisce così, La restanza: «non solo l’atto passivo di rimanere ma un impegno attivo nel cercare di trasformare la propria comunità attraverso, ad esempio, iniziative locali di sviluppo sostenibile, di valorizzazione del patrimonio culturale, naturale e paesaggistico oltre che di promozione di nuove forme di economia che mettano al centro la cura del territorio» (La restanza, V. Teti, 2022).
Gatì ha ispirato alcuni giovani della sua terra: per esempio Carmelo Traina, fondatore di Questa è la mia terra, associazione con il compito di valorizzare il proprio territorio con azioni pratiche e politiche. Nell’agosto del 2024, l’associazione ha organizzato un festival nella terra natale di Giuseppe (Campobello di Licata) per parlare di questi temi. Insieme al Centro studi Giuseppe Gatì, l’associazione ha pubblicato una ricerca sulla percezione e le volontà dei giovani delle scuole superiori della provincia di Agrigento. Questa ricerca, dal nome Terra di futuro, completa il quadro e conferma quanto detto sopra. Molti giovani non hanno fiducia nella Sicilia del futuro: il 79% crede che in Sicilia ci siano meno opportunità rispetto a fuori; il 39% percepisce invece che la qualità della vita sia migliore da altre parti; traendo una somma, il 62% si sposterà da dove è cresciuto.
Non è un “ammutinamento” giovanile anti-Sicilia: il 61% dei giovani si definisce felice di essere cresciuto in Sicilia. Ma si tratta di fare i conti con la realtà, che non è di certo ottimale.
Non si vuole romanticizzare il “restare” o colpevolizzare chi decise e chi deciderà di partire: qui il compito è rappresentare come stanno le cose. Noi giovani siamo la minoranza della popolazione, con un peso politico-economico scadente. In un’isola che rischia di spopolarsi. Ciò rende la scelta di Gatì e di altri quasi un atto eroico, quando invece dovrebbe trattarsi della normale opportunità a non lasciare la terra che ci abita.
Restare e partire dovrebbero essere diritti di ogni essere umano, non doveri o necessità; ma sembra che a noi siciliani restino solo i secondi.