Università

“Psicologia del Caos: cronache da un Corso di Laurea in cortocircuito”

Da buon studente di psicologia, mi ritrovo a riflettere su un caso clinico interessante: la gestione logistica del nostro corso di laurea.

Prendiamo il caso del primo anno. Un giorno ti iscrivi, cerchi casa vicino alla sede universitaria “Le Verginelle”, ti illudi di poter godere l’università nel cuore del centro storico, e il giorno dopo ti comunicano – a ottobre, eh, non a luglio – che per te niente Verginelle, si va alla Cittadella universitaria, nel dipartimento di Fisica. Perché? Perché abbiamo aumentato i posti ma ci siamo dimenticati delle aule. Una distrazione, può capitare.

La soluzione? Ospitati in spazi altrui in prestito. Una specie di Erasmus interno, senza valigia ma con tanto disorientamento. “È solo per il primo semestre”, dicono. E infatti nel secondo semestre… si torna alle Verginelle! Ma sorpresa: non ci sono i posti per tutti. E così, nuova brillante idea: si dividono gli studenti in due aule, una delle quali vede il docente solo attraverso un videoproiettore.

Secondo anno, stesso copione (ma con più esami)

Passiamo ai “veterani”, quelli del secondo anno, che ormai pensano di averle viste tutte. E invece no. Il tirocinio, previsto per il primo semestre, viene posticipato al secondo (da ottobre fino a marzo senza avere una singola notizia riguardo il suo inizio). Non un dramma, certo, se non fosse che nel secondo semestre ci sono anche le lezioni, la materia “Psicometria e metodi di ricerca in psicologia” (anche lei slittata dal primo al secondo semestre) e la sessione di esami. Praticamente un Tetris universitario, ma senza possibilità di incastrare tutto.

Ah, dimenticavo: anche gli studenti del secondo anno vengono spostati alla sede universitaria di Cibali, per lasciare spazio ai colleghi del primo anno. Un gesto nobile, se non fosse che Cibali non è esattamente dietro l’angolo e molti studenti fuorisede avevano affittato casa nella zona delle Verginelle. Risultato: ore perse nei trasporti, lezioni in aule “adattate” (cioè troppo piccole), e anche qui lezioni divise tra aula reale e aula “cinema”. Biglietto d’ingresso non richiesto, ma pop corn consigliati. Ma quest’ultimo problema noi studenti siamo riusciti a risolverlo abbastanza in fretta smettendo di impazzire provando a frequentare tutte le lezioni.

Diagnosi: disorganizzazione cronica

Ora, siamo consapevoli che gestire un corso di laurea non sia semplice. Nessuno pretende il paradiso accademico. Ma forse un po’ di coerenza, una programmazione anticipata, una comunicazione più chiara… e magari anche un’aula in cui il docente sia visibile senza proiettore, non sarebbero idee così rivoluzionarie.

La sensazione, però, è che si proceda sempre per rincorsa. Si aumenta il numero degli studenti, ma le strutture restano le stesse. Si promettono sedi, ma poi si cambia all’ultimo. Si fissa un calendario, ma si aggiorna dopo che le lezioni sono iniziate. E alla fine l’impressione è che l’unico a dover fare miracoli sia lo studente, stretto tra orari impossibili, spostamenti da atleta e un carico di studio che definire impegnativo è un eufemismo.

Una facoltà da manuale

Viene quasi voglia di prendere appunti: siamo davanti a un caso interessante. Un esperimento collettivo di stress accademico. La prova pratica della resilienza studentesca. Un modo creativo – diciamolo – per mettere alla prova la tenuta mentale di chi studia proprio… la mente. Ma noi, ironia a parte, ci teniamo. Perché crediamo in questa università, e vorremmo vederla funzionare meglio. Basterebbe poco: più spazi, più programmazione, meno sorprese. Basterebbe trattare gli studenti non come un numero da aumentare, ma come persone da formare.