“La generazione ansiosa” indaga le conseguenze di un’infanzia basata su social e smartphone e un’educazione iperprotettiva sulla salute mentale della Generazione Z. Un volume per comprendere il nostro tempo (e per conoscersi) e che fornisce gli strumenti per cambiarlo.
The Anxious Generation. How the Great Rewiring of Childhood Is Causing an Epidemic of Mental Illness. Di Jonathan Haidt; Penguin Press; New York; 2024; ISBN 9780593655030
Che è successo ai giovani? Ansiosi, insicuri, soli, inetti? La percezione di un malessere diffuso tra gli adolescenti è cresciuta in questi anni. Insegnanti, genitori, giovani stessi sentono che per molti dei propri studenti, figli, coetanei la vita sia, da qualche tempo e per qualche ragione, meno respirabile, più angosciosa.
Perché? Ed è soltanto una percezione? Forse la riproposizione di quell’eterno, querulo ritornello che ogni generazione ripete contro i giovani d’oggi, lamentando la corruzione dei costumi, idoleggiando il bel tempo che fu?
Il libro “La generazione ansiosa” dello psicologo americano Jonathan Haidt affronta il problema: analizza i dati, fornisce spiegazioni, offre soluzioni.
I dati: a partire dal 2010 comincia un aumento improvviso dei casi di ansia e depressione tra gli adolescenti, di atti di autolesionismo, di suicidi e disturbi alimentari. Negli USA tra il 2010 e il 2019 la percentuale di adolescenti (anni 12-17) che soffrono di ansia e depressione è aumentata rispettivamente del 134% e del 106% (American College Health Association). Tutte le statistiche sono apertamente consultabili sul sito www.anxiousgeneration.com.
Perchè? La spiegazione dell’attuale epidemia di disturbi mentali risiede nella radicale trasformazione cui è andata incontro l’infanzia a partire dal 2010. In ciò che l’autore chiama “la Grande Riconfigurazione (rewiring)”. Essa si compone di due elementi. Da un lato si parla di “declino dell’infanzia basata sul gioco”: a partire dagli anni Ottanta si è diffusa una cultura iperprotettiva che pone eccessivi limiti all’indipendenza del bambino nel mondo reale. In un mondo sempre più sicuro diminuiva il gioco libero, aumentava la supervisione degli adulti. Così molti bambini sono stati privati delle esperienze necessarie per superare le normali paure e ansie dell’infanzia: la possibilità di esplorare, testare ed espandere i propri limiti, costruire strette amicizie attraverso avventure condivise e imparare a valutare i rischi da soli. Dall’altro l’autore parla di “ascesa dell’infanzia basata sul telefono”: con il 2010 inizia un decennio di innovazioni tecnologiche straordinarie: i flip phone sono sostituiti da cellulari con applicazioni gratuite, social media, telecamere frontali, accesso illimitato a internet. Diversamente dal mondo reale, i ragazzi sono stati lasciati liberi e senza sorveglianza nel mondo virtuale. Questo il principio di fondo del libro che risponde alla domanda: perché i bambini nati dopo il 1995 sono diventati la generazione ansiosa? Overprotection in the real world and underprotection in the virtual world.
La novità determinante è la pervasività degli smartphone e poi dei social. Finché si parla di personal computer e iPod (decennio 2000-2010) non si hanno conseguenze negative sulla salute mentale dei giovani. Le cose cambiano (2010-2020) con lo smartphone e soprattutto con i social: aumenta moltissimo il tempo di utilizzo, specialmente su piattaforme di messaggistica istantanea e condivisione di foto, progettate per indurre dipendenza.
La “migrazione di massa” dell’infanzia dal mondo reale al mondo virtuale ha interrotto e compromesso lo sviluppo sociale e neurologico di moltissimi ragazzi. Haidt ricorda come “la corteccia prefrontale, essenziale per l’autocontrollo, il ritardo della gratificazione e la resistenza alla tentazione, non raggiunge la piena capacità fino alla metà dei 20 anni” (p. 5). Il peggioramento della salute mentale, l’aumento dei suicidi, dei disturbi alimentari, sono alcune delle conseguenze di un’infanzia phone based. Perché, chiede lo psicologo, “non lasciamo che i pre-adolescenti comprino tabacco o alcol, o entrino nei casinò” (p. 5), ma lasciamo che abbiano smartphone e usino i social media?
Haidt risponde a un’obiezione: non è forse riduttivo ricondurre un fenomeno di simili proporzioni a qualcosa come il cellulare? Non andrebbero forse interrogate cause esterne, il concorso di eventi come la crisi economica, le guerre, la prospettiva di una catastrofe climatica ecc? Per Haidt i dati parlano chiaro: se l’aumento di ansia e depressione di simili proporzioni dipendesse da eventi storici esterni dovremmo registrare dati analoghi in periodi di maggiore o uguale instabilità e crisi. Anzi in casi come guerre e epidemie “le persone fanno gruppo” e si registrano paradossalmente effetti positivi sul piano psicologico, come maggiori “attitudini prosociali”. Così non è nel nostro caso. Il peggioramento della salute mentale avviene a partire dalla diffusione di smartphone e social.
Nel libro il lettore troverà interessanti analisi su come dovrebbe trascorrere adeguatamente l’infanzia: la necessità di gioco rischioso e libero e di una socialità “incarnata” (embodied). Di come funziona l’apprendimento sociale, e come questo sia stato compromesso dai social. Della scomparsa dei “riti di passaggio” come momenti decisivi di preparazione dentro percorso chiaro verso l’età adulta. Si discute anche dei modi diversi con cui maschi e femmine sono coinvolti dall’esposizione ai social, pornografia, videogiochi. Della “degradazione spirituale” cui tutti siamo investiti nelle vite phone-based. L’autore offre anche proposte di misure che governi, aziende, scuole e genitori potrebbero adottare per affrontare gli impatti negativi di smartphone e social media, come proibire l’uso di internet ai minori di 16 anni o fare in modo che le scuole siano senza smartphone.
Perché leggere questo libro? Quasi mai i problemi del presente appaiono intelligibili. Quasi mai riusciamo a capirci qualcosa. Per questo leggiamo con piacere il libro di Haidt: è una fotografia, ben costruita, plausibile, del nostro tempo. Fotografia nella quale il giovane potrà scorgervi spesso il proprio autoritratto, dalla quale il genitore e l’educatore potrà trarre opportuni strumenti educativi, rispetto alla quale tutti possiamo utilmente rivolgerci per capire il presente. Se qui sono descritte con chiarezza le difficoltà – che paiono insormontabili – di oggi, se sono pagine che gettano nello sconforto per il dramma che vi si legge, danno anche lo slancio necessario per provare a cambiare le cose.