A giugno 2025, l’Italia andrà alle urne per un referendum che promette di rimettere al centro la giustizia sociale: si parlerà di reintegro nei casi di licenziamento illegittimo, di accesso più facile alla giustizia per i lavoratori, di appalti da assegnare non solo al ribasso.
Ma mentre finalmente si discute di diritti e tutele, c’è un tema sullo sfondo, come se fosse inevitabile, come se fosse normale: il diritto di tornare vivo dal lavoro.
Morte sul lavoro in Italia: il solito, tragico spettacolo
Siamo nel 2025. Esistono automobili che si guidano da sole, algoritmi che prevedono il nostro prossimo acquisto, eppure in Italia si continua a morire lavorando.
Non metaforicamente: si muore davvero, schiacciati da un’impalcatura, folgorati da un cavo elettrico, precipitati da tetti marci. Ah, il progresso, in 30 anni il mondo cambia, ma il numero di chi muore lavorando no. Nel 2024, l’INAIL ha registrato oltre 1041 morti sul lavoro in Italia. Un numero che, per una Nazione che si professa “civile”, fa quasi tenerezza o rabbia, a seconda della quantità di cinismo accumulata nell’anima.
Il Sud, e la Sicilia in particolare, non sono nuovi all’abbandono sistemico. Non è solo questione di disoccupazione cronica o infrastrutture fatiscenti. È anche questione di una cultura del lavoro che, nel migliore dei casi, è legata allo sfruttamento della persona, nel peggiore è mortale. Secondo INAIL, la mortalità sul lavoro nel Sud è più alta del 20% rispetto al Nord. In Sicilia, nel 2023-2024, ci sono stati oltre 90 morti sul posto di lavoro. Un autobus di linea pieno.
Ma è sempre colpa della “fatalità”.
Cadere da un’impalcatura senza protezioni? Disgrazia.
Morire di caldo nei campi? Tragedia.
Scivolare su un ponteggio marcio? Sventura.
Ma si può parlare di fatalità quando, nonostante l’Italia sia tra le prime 10 superpotenze continua a registrare un numero di morti sul lavoro superiore alla media europea? Fatalità. Una parola magica che in Italia giustifica ogni vergogna.
Mala gestione: un capolavoro nazionale
Casco, imbracatura, scarpe antinfortunistiche? “Ma che vuoi che succeda”, dicono. Poi succede, e tutti si indignano per due minuti. Secondo l’Osservatorio Vega Engineering, la Sicilia nel 2023 ha avuto un’incidenza di 60 morti ogni milione di occupati. Come giocare alla roulette russa ogni mattina.
Il controllo? Ridicolo: nel 2024 sono state effettuate solamente 50.000 ispezioni nei luoghi di lavoro in tutta Italia (concentrate la maggior parte al nord Italia). Una percentuale misera rispetto alla realtà operativa.
Lavoro nero: il fantasma che uccide
In Sicilia, oltre il 22% del lavoro è irregolare. Lavori senza assicurazione, senza tutele, senza diritti. E se muori in nero, è come se non fossi mai esistito.
Chi controlla i controllori?
ASL, Ispettorati, enti locali: organici ridotti del 30%, ispezioni prenotate con mesi di anticipo, motivazione ai minimi storici. La guerra contro le morti bianche si combatte armati di fionde.
Il solito teatrino: silenzio, indignazione, oblio
Muore un operaio. Segue il copione: Minuto di silenzio, politico indignato, parente disperato, un’indagine mai conclusa e tutto dimenticato in 48 ore. Ad esempio, quando a Casteldaccia (PA) cinque operai sono morti asfissiati in un impianto fognario senza adeguate misure di sicurezza, o il caso a Brandizzo (TO), dove cinque operai sono stati travolti e uccisi da un treno mentre lavoravano sui binari, senza che fosse stata disposta la sospensione della circolazione ferroviaria.
Cambiare costerebbe. Costa proteggere chi è già abbastanza disperato da accettare 30 euro al giorno per 10 ore di lavoro.
Il futuro? Già visto
Con il PNRR arriveranno fondi per la sicurezza, ci dicono. Forse. Nel frattempo, Palermo, Catania, Ragusa, continuano a piangere i loro morti.