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Cosa ci chiede il referendum

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L’otto e il nove giugno si torna alle urne: i cittadini italiani saranno chiamati a votare per 5 quesiti referendari, 4 sul lavoro e 1 sulla cittadinanza.
Qui di seguito una tabella in cui abbiamo cercato di presentare i cinque quesiti (prima colonna), gli effetti che questi hanno nella vita civile e lavorativa e cosa il referendum propone di cambiare:

Abrogazione del decreto legislativo 23/2015, in tema di disciplina dei licenziamenti illegittimi Oggi: complessa diversificazione in caso di licenziamento illegittimo, con trattamento diverso a seconda che il lavoratore licenziato sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015 (nel secondo caso, il reintegro sul posto di lavoro è raro) Se abrogata: semplificazione delle sanzioni in caso di licenziamento illegittimo, eliminando ogni distinzione tra lavoratori assunti prima o dopo il 7 marzo
Tutele per lavoratori e lavoratrici delle piccole imprese: tagliare alcune parole dall’art. 8, l.604/1966, “recante disposizioni in tema di licenziamento individuale nelle piccole imprese” Oggi: Nelle piccole imprese (massimo di sedici dipendenti) il datore di lavoro è obbligato a risarcire il lavoratore vittima di licenziamento illegittimo attraverso il versamento di un’indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione Se modificata: si eliminerebbe il tetto massimo di 6 mesi. La quantificazione dell’importo risarcitorio spetterebbe alla valutazione del giudice. Non sarebbe totalmente discrezionale, restando fermi i criteri indicati dalla legge ai fini della determinazione del risarcimento
Ripristino dell’obbligo di causali per il lavoro a tempo determinato

abrogazione art. 19, decreto legislativo 81/2015

 

Oggi: nel caso di contratto a termine inferiore ai 12 mesi, i datori di lavoro possono stipulare contratti senza causale, cioè senza giustificare il ricorso a tale contratto piuttosto che a un contratto a tempo indeterminato Se abrogata: per tutti i tipi di contratto a termine (sopra o sotto i 12 mesi) si re-introdurrebbe l’obbligo di giustificazione

 

Sicurezza  sul lavoro: abrogazione parziale dell’art. 26, comma 4, del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro Oggi: quando il danno al lavoratore è causato da lavori nell’impresa appaltante o subappaltante, il committente non ha responsabilità Se modificata: il committente sarebbe sempre co-responsabile degli infortuni, spingendo le imprese a esercitare un maggiore controllo sull’operato di chi viene incaricato attraverso appalti o subappalti.
Concessione della cittadinanza italiana

modifica legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza

Oggi:  uno straniero può ottenere la cittadinanza per naturalizzazione solo dopo almeno 10 anni di residenza legale continuativa in Italia Se modificata: ridurrebbe da 10 a 5 anni il periodo di residenza necessario per fare richiesta di cittadinanza e garantirebbe automaticamente il diritto anche ai figli minorenni

I primi 4 quesiti di ambito lavoristico sono stati accostati dalla discussione politica a due fondamentali retoriche, accusandoli di portare avanti un’ideologia massimalista, e di risultare sostanzialmente inutili.
Infatti il referendum è stato accusato di puntare a un ritorno alla disciplina del licenziamento prevista negli anni Settanta, gli anni del garantismo, in cui le tutele per i lavoratori subordinati raggiunsero il loro apice, ma al contempo irrigidirono eccessivamente il mercato del lavoro.
Se si guarda bene ai quesiti referendari però, questa accusa risulta infondata. Infatti, anche qualora il referendum dovesse avere esito positivo, il risultato sarebbe un ritorno alla disciplina statuita dalla riforma Fornero del 2012, e non alla vecchia disciplina garantista del secolo scorso.
Passando alla seconda retorica, quella che lamenta l’inutilità del referendum, essa si fonda su una serie di pronunce della Corte costituzionale, che dal 2015 ad oggi ha inciso profondamente sull’impianto del Jobs Act, eliminando parte delle novità da esso introdotte.
Sebbene tutto ciò sia vero, ciò non toglie che ad oggi la disciplina del licenziamento illegittimo risulta particolarmente complessa, continuando ad essere caratterizzata da importanti criticità, prima fra tutte quella di un regime diverso a seconda che il lavoratore illegittimamente licenziato sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015.

Per concludere, non si può non menzionare quanto poco questo referendum sia stato e stia venendo pubblicizzato. Di fronte ai dati scoraggianti sull’affluenza elettorale, ci si aspetterebbe quantomeno una campagna divulgativa per diffondere il più possibile i quesiti referendari oggetto del prossimo appuntamento elettorale.
Ma la realtà è profondamente diversa.
Nessuna campagna pubblicitaria televisiva, rari i manifesti e i cartelloni pubblicitari, silenzio tombale da parte della scena politica.
La ragione di tutto ciò è molto semplice.
L’obiettivo di fondo dei 4 quesiti lavoristici è quello di demolire l’impianto del Jobs Act del 2015, ripristinando il regime precedente. Qualora il referendum avesse esito positivo, ciò determinerebbe un incremento (seppur limitato) delle tutele riconosciute ai lavoratori, riducendo parzialmente le prerogative della parte datoriale. Di conseguenza, non sorprende che l’attuale maggioranza di governo non abbia interesse a sponsorizzare i quesiti referendari.

 Ma anche nell’opposizione ci sono pareri contrastanti in merito al referendum.
Infatti, il Jobs Act è stato una delle principali novità introdotte dal governo Renzi, che ne ha fatto una vera e propria colonna portante del suo programma politico.
È chiaro quindi, che anche a sinistra manca quell’unità di vedute necessaria per una campagna divulgativa incisiva.
Insomma, esiste il rischio concreto che questo appuntamento elettorale si riveli l’ennesimo fallimento, e molto lascia pensare che il quorum non verrà raggiunto e la questione referendum potrà dirsi archiviata. Compito di tutti noi impegnarci affinché ciò non accada, ricordando che prima ancora che un diritto, il voto è un vero e proprio dovere.