Abbiamo discusso con Pina Palella (CGIL Catania e presidentessa ANPI) sul prossimo referendum dell’otto e il nove giugno, sull’importanza del sì. Una riflessione su un mercato del lavoro, che lasciato libero di autoregolarsi, non è riuscito a portare reali benefici alla collettività.
Perché è importante votare “sì” ai quesiti referendari?
Sarà un modo per la collettività di rispondere alle sfide del futuro. Ci teniamo alla nostra sicurezza? Ci teniamo all’adeguamento contrattuale? Ci teniamo a non essere licenziati senza giusta causa?
La partecipazione sarà fondamentale. È necessario il raggiungimento del quorum [25 milioni di elettori] per poter validare il referendum: mi rendo conto che è molto difficile, ma dobbiamo tentare con tutte le nostre forze.
Perché ben quattro quesiti ci chiedono di intervenire sul mercato del lavoro?.
In Italia viviamo una situazione insostenibile. I morti sul lavoro e gli incidenti continuano ad aumentare. Il primo maggio il presidente Mattarella ha detto chiaro e tondo che è una piaga intollerabile. Se non si agisce sul meccanismo dei subappalti e non si incrementano i controlli nelle aziende, le morti sul lavoro sono destinate ad aumentare. Per questo è importante votare “si” al quarto quesito referendario, che amplia la responsabilità del committente anche ai rischi provocati da chi ha appaltato. Aumenterebbe la sicurezza dei lavoratori, spingendo le imprese a esercitare un maggiore controllo sull’operato di chi viene incaricato attraverso appalti o subappalti e sui controlli sulla sicurezza dei lavoratori.
La sicurezza non riguarda solo le aziende “pericolose” come quelle edili, manifatturiere o agricole ma tutti i settori, inclusi quelli pubblici. Anche sulle scuole, quanto sono sicure? Pensiamo anche ai i ragazzi che affrontano stage o affrontano percorsi di alternanza scuola-lavoro: quante volte è mancata la sicurezza? Dobbiamo continuare a piangere nuove vittime?
Un altro quesito riguarda i contratti precari.
Si tratta del terzo, e il “sì” sarebbe un segnale forte. Oggi il governo ha addirittura proposto di superare il vincolo triennale dei contratti precari. Per le imprese ci sarebbe la possibilità di continuare ad libitum, a proprio piacere, di realizzare questi contratti. Pensiamo ai contratti a tempo determinato, subordinato, parasubordinato, a chiamata: impediscono ai lavoratori di immaginare una vita. Il sì permetterebbe di impedire alle imprese di assumere e licenziare quando vogliono, e qualunque contratto a termine dovrà essere giustificato da esigenze concrete.
C’è chi accusa questo referendum di irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro.
Ma assolutamente no. Il sì ai quattro quesiti garantirebbe un miglioramento del mercato del lavoro: se si investe sulla sicurezza e sulla qualità del lavoro ne beneficia la stessa azienda. E se io, lavoratore, trovo condizioni lavorative migliori è ovvio che anche da un punto di vista brutalmente produttivo, mi sento pronto a produrre di più e meglio.
Sulla precarizzazione in questi anni l’Italia ha fondato un mercato drammatico. Drammatico.
Come si può investire in un futuro quando si dice che l’Italia vive un calo demografico e il Sud si spopola sempre di più? L’emigrazione è la risposta a un mercato del lavoro che non dà garanzie ai giovani: è ovvio che questi cerchino altrove, per trovare certezza e sicurezza.
La Meloni in occasione del primo maggio ha affermato che il suo governo ha creato un milione di posti di lavoro. Ma questa cifra cozza con quelle che l’ISTAT propone ogni anno: nel 2024 abbiamo un 23.1% di italiani a rischio povertà o di esclusione sociale, con picchi del 39% nel Meridione. Ma allora che posti di lavoro ha creato? Sono tutti lavori “a basso reddito”?
Sono posti di lavoro creati in questi anni utilizzando i fondi del PNRR. Alcuni sono posti di lavoro a tempo determinato. Aggiungiamo che a volte, pur non essendo contratti a termine, sono contratti part-time, che hanno quindi una retribuzione molto più bassa.
Inoltre, la presidente del Consiglio non ha spiegato come migliorare le condizioni lavorative se non si parte da una base oraria dignitosa di pagamento e retribuzione del lavoratore. Ogni discorso dovrebbe partire dalla necessità di un salario minimo legale.
Il quinto quesito riguarda invece l’acquisizione della cittadinanza italiana: si chiede di dimezzare il tempo di residenza necessario per poter fare richiesta della cittadinanza, da dieci a cinque anni.
Ormai buona parte della popolazione italiana è formata da chi viene da aeree extracomunitarie. Per lo più giovani: versano contributi lavorativi e, in questo modo, alimentano il sistema pensionistico. Ci sono inoltre “seconde generazioni”, ragazzi nati qui in Italia e che frequentano le nostre scuole.
Dare loro la cittadinanza in tempi equi sarebbe un atto di giustizia, oltre che di lungimiranza. Sarebbe anche un modo per combattere lo sfruttamento e regolarizzarli sul mercato del lavoro. Solo chi è tarantolato dai pregiudizi può continuare a ostacolare un processo giusto e necessario.
Secondo lei c’è un problema di informazione sul voto di giugno?
I referendum non stanno venendo pubblicizzati. C’è molta disinformazione, come se non toccassero la vita delle persone. Purtroppo l’informazione è a senso unico: il governo occupa quasi tutti i media. Ogni tanto invitano Landini su La7 o su qualche altro canale… Ma sulla RAI non ho visto nessuna pubblicità sul referendum. Occorre una grande mobilitazione dal basso, fare i porta a porta, andare nei mercati, parlare con la gente per aiutarla a comprendere la posta in palio. Che è grande! La Cgil ce la sta mettendo tutta. Il mondo del lavoro può cominciare a rialzare la testa, farsi sentire, non essere più una merce a disposizione del capitale!
In conclusione, cosa si può dire ai ragazzi per il voto di giugno?
Una sola domanda: è giusto che dobbiate essere sfruttati fin dal primo momento che mettete piede, il primo piede, nel mondo del lavoro?